Un testo dell’autore di Il vino sincerissimo.
Ho conosciuto Dario Pepino quindici anni fa, l’occasione fu la comune passione per il Clos La Néore di Edmond Vatan; un liquido cerebrale, reso magnetico da una riservatezza che con l’invecchiamento svela una classe hors catégorie. Lo scarto aneddotico tra il minimalismo del luogo (prati e capre, un pugno di case raccolte intorno a uno spiazzo, una cantina irriconoscibile come tale fino al momento d’entrarci) e la stilizzata grandiosità dei vini fu l’aggancio per scriverci subito con reciproca simpatia.
In questo tempo non ci siamo mai persi, pur nella rarità delle occasioni in cui – io umbro, lui piemontese – siamo riusciti a incontrarci. Ho avuto modo di vederlo agire sul campo, in Champagne, questo ingegnere gentiluomo per il quale le sortite francesi paiono anzitutto un pretesto per consolidare amicizie coltivate visita dopo visita, conversazione dopo conversazione. Ho assistito al dispiegarsi del suo meticoloso entusiasmo mentre sedevamo in piccoli salotti di case private, antitetici alle scenografiche sale delle grandi maison. Ho toccato una dimensione domestica della Champagne, abbrivo a un approccio “sincerissimo” alla più elitaria delle bevande che non immaginavo possibile; accoglienze intime, tinte di una cordialità delicata, proiezioni delle atmosfere languidamente decadenti fantasticate bevendo i vecchi Meunier di René Collard, di cui proprio Dario mi ha rifornito nel tempo.
Testimonio, grazie al fitto carteggio intercorso in questi anni, come il catalogo de L’Etiquette sia la punta di un iceberg stratificato da una poderosa mole di viaggi, assaggi, riflessioni e confronti. Le modulazioni stagionali della proposta indicano lo scrupoloso monitoraggio di produzioni artigianali, influenzate tanto dall’imprevedibilità del clima quanto dal mutevole estro dei vigneron. Al di là del valore organolettico di questa o quella etichetta, che ciascuno soppeserà da sé, preme sottolineare – di tutte – un’aderenza alle origini che amplia il paradigma del terroir col riflesso dell’indole degli interpreti che lo animano.
Ho memoria di incalzanti sessioni comparative chez Dariò oscillanti tra concentrazione e divertimento, pignoleria e trasporto; lo sciame di riflessioni che ne è seguito, mai fermo al carattere delle bottiglie bensì esteso a possibili abbinamenti gastronomici e a momenti ideali di consumo, ha ravvivato il mio amore per il vino, per il piacere della condivisione che esso fonda. Ecco perché, prima che una distribuzione commerciale, nella mia percezione L’Etiquette è una preziosa palestra di savoir boire e, a monte, di savoir vivre.
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