Se cercate Pierre Ménard su Google vi apparirà il protagonista di un racconto di Jorge Luis Borges. Si intitola “Pierre Ménard, autore del Chisciotte”. È un Ménard immaginario che di mestiere fa lo scrittore e a cui viene l’idea di riscrivere il Don Chisciotte di Cervantes. Non di copiarlo, beninteso, ma proprio di riscriverlo, utilizzando le stesse, identiche parole e le stesse frasi dell’originale. Borges era fatto così.
Il Ménard che ci interessa qui è invece reale e l’opera di cui vado a dire è solo sua, originale. La scarsità di informazioni sull’internet (il suo sito internet, per dirne una, rimanda semplicemente alla pagina Facebook) mi ha costretto a una serie di ricerche le cui conclusioni a volte si sono risolte in mere ipotesi. La prima ipotesi riguarda l’età. Fatti due conti, possiamo presumere che il nostro abbia circa 35 anni. È invece certo che la sua cantina stia a Faye d’Anjou, paesino della Loira vicino al fiume Layon. Qui impera lo chenin blanc, vitigno che da almeno un decennio ha cominciato a godere della giusta fama anche da noi. Ha una caratteristica preziosa, che va oltre il gusto e che probabilmente è la chiave del suo successo in Loira, ed è la plasticità. Quella plasticità che gli consente di adattarsi ai diversi terreni sui quali cresce. È dunque perfetto per seguire il corso della Loira, territorio vinicolo tutt’altro che uniforme e che attraversa gran parte della Francia in senso latitudinale, affrontando terreni, altitudini e climi molto diversi tra loro. Ad Anjou, ove insiste una AOC conosciuta principalmente per i vini bianchi, il terreno è ricco di scisti con presenza varia di ftanite (roccia sedimentarie silicea particolarmente dura) e di spiliti (pietre basaltiche di origine vulcanica), oltre ad argille e quarzi e altro.
Pierre ha lavorato a lungo in giro per il mondo, passando dalla zona del Porto a quella del Bordeaux e arrivando perfino in Australia e Nuova Zelanda. I suoi genitori possedevano e tuttora posseggono alcuni ettari di vigna a Faye, prevalentemente piantumati a chenin blanc, e avevano sempre coltivato le uve per venderle alla locale cooperativa sociale. Quando Pierre decise di tornare a casa dai suoi viaggi, si guardò intorno e maturò l’idea di fare vino in proprio. Cominciò lavorando nelle vigne di famiglia per osservare le differenze nei vari appezzamenti e dopo qualche anno prese a vinificare le uve delle vigne che aveva scelto. La prossima vendemmia, ed ecco una seconda approssimazione, dovrebbe essere la sua nona a Faye.
Meno di quattro ettari divisi in più parcelle e una produzione annua inferiore alle 20.000 bottiglie per un numero di etichette piuttosto nutrito. Pierre vinifica separatamente le singole vigne e separatamente alleva, pota e cura le viti secondo i criteri che ritiene più adatti alle diverse situazioni. Biologico e biodinamico nell’approccio, esterna la fascinazione per i corpi celesti nei nomi di alcuni vini e nelle etichette, che sono disegnate da lui stesso. Oltre a quei vini il cui nome deriva dalle singole parcelle, come il Clos de Mailles, ci sono infatti quelli che richiamano l’astronomia. Come il Pluton che prende il nome dal pianeta omonimo perché, dice Pierre: “nasce su una roccia di ftanite, il cui nome deriva dal greco phtanò, ‘vado avanti’. E la ftanite in Anjou ‘sta davanti’ agli scisti, proprio come, da qualche parte, Plutone ci precede fuori dal bozzolo formato dal sistema solare. Plutone a volte veniva anche chiamato ‘l’altro pianeta blu’: blu, come il colore delle ftaniti”.
L’occasione di assaggiare una orizzontale dei suoi vini è data da un progetto aziendale: una cassetta di legno, prodotta in 105 esemplari nella quale Pierre ha messo otto Chenin Blanc. Sette sono dell’annata 2021 e uno della 2020. L’insieme consente di fare il punto del suo lavoro sullo chenin blanc di Anjou, con attenzione alle sfumature e alle possibilità che il vitigno presenta in questa zona di produzione. La cassetta ha un nome: Lumiére Blanche, luce bianca. Evocativo e, a posteriori, azzeccato. Solo cinque delle bottiglie contenute si trovano abitualmente in commercio, le altre tre sono purtroppo introvabili e, almeno per il momento, le possiamo considerare esperimenti dimostrativi. Un esemplare della cassetta è stato aperto e messo a disposizione di alcuni invitati in una degustazione tenuta il 17 aprile scorso presso la sede di Torino de l’Etiquette di Dario Pepino, che distribuisce in Italia i vini di Ménard. Ma è inutile che chiamiate Dario per cercare di accaparrarvi altre cassette, ci ho già provato io: almeno in Italia sono esaurite.
L’ordine di servizio è stato indicato da Ménard stesso. Due batterie da quattro vini ciascuna. Tutti i vini fermentano in legno. L’annata 2021 in Anjou è stata definita fresca.
Si comincia con il Varenne de Chanzé 2021, dall’omonima vigna di soli sette anni. Insieme al Clos de Mailles è uno dei due vini di ingresso, per così dire, dell’azienda. Le vigne si trovano sulla medesima collina. Questa sorge sulla parte sud mentre il Clos de Mailles guarda a nord. I terreni sono composti dai classici scisti grigioverdi con formazioni di spilite.
Sensazioni floreali e di camomilla ma anche di mela verde. Ha struttura sottile ma solida, scheletrica, precisa, con accattivante freschezza vegetale e spiccata sapidità. Si avverte la giovane età delle viti e il vino, indubbiamente piacevole, resta piuttosto semplice.
Mario: “Esuberante e ricco, dolce di frutto ed erbe aromatiche”.
Clos de Mailles sorge sulla parte sommitale della collina. Il terreno scistoso è simile a quello di Varenne ma le vigne hanno qualche anno in più, in media circa 25 anni, e il terreno è più argilloso, con scisti e tracce di ftanite. Uno Chenin piuttosto classico, con maggiore corpo (seppur sempre misurato) rispetto al primo vino. È maggiore anche l’intensità dei profumi che vanno dalla frutta a pasta gialla (mango) agli agrumi ai fiori. In bocca non manca uno spunto morbido, quasi carezzevole che ben contrasta la mineralità accentuata.
Mario: “Subito è austero, si apre progressivamente a profumi di agrumi, anice e pasticceria. Appagante in bocca”.
Giada: “Ha le caratteristiche che amo: ha tensione pur mantenendo una struttura esile con sfumature salate e minerali”.
Terzo vino è il Pluton 2021, da una selezione delle viti all’interno del Clos de Mailles. Pierre sceglie ogni anno quelle che secondo lui hanno avuto uno sviluppo migliore. La media della loro età è intorno ai 30 anni e si trovano sulla parte più alta del Clos, dove il terreno è caratterizzato da banchi di ftanite durissima. Naso inizialmente timido, poi progressivamente sempre più aperto. Profumi di frutta e fiori arricchiti da note di mentuccia e da una speziatura che mi ha ricordato l’anice. Ha mineralità rocciosa e finale piccante.
Elio: “Il Pluton chiede rispetto e tempo. All’inizio ti fa intravedere cose, poi, quando pensi che stia per svelarsi, fa un passo indietro. È un vino che chiede attenzione, che cambia ritmo di continuo”.
Mario: “Appena versato era un oggetto misterioso. Poi ha cominciato a sussurrare e ha continuato a farlo per tutta la sera. Bisognerebbe lasciarlo nel calice una notte intera per sentire cosa ha da dire al mattino”.
Giada: “Apprezzo soprattutto la sua personalità discreta, questo suo richiedere attenzione e tempo da parte di chi lo beve”.
Ultimo vino della prima batteria è il Les Mailles Jeanne. Anche questo da una piccola parcella all’interno del Clos de Mailles, solo 0,2 ha, da viti sono decisamente mature: hanno in media 80 anni. Esposizione sud su terreno argilloso con inserti di quarzo e una minore presenza di scisti.
Subito la sua acidità elettrica mi ha spiazzato. Come se il vino dovesse ancora decidere che direzione prendere.
Gabriele: “Ha profondità, con la sapidità che si aggrappa alla beva” .
Paolo: “A me è piaciuto tantissimo, sia perché sento bene l’agrume sia perché è davvero salatissimo”.
Stefano: “Ed è anche pepatissimo”.
Mario: “Quello che mi ha convinto meno. Sento una deriva nei profumi, sicuramente minima, che non va via. Tuttavia in bocca è sorprendente per salinità, da bere senza starci a pensare sopra”.
Massimo: “Quattro vini diversi tra loro, ma con uno stile personale e unitario, al di là della ricerca che Ménard sta facendo sulle sue vigne. Dai risultati preferisco quelle esposte a nord, indipendentemente dall’età delle viti. Il Pluton finora è indubbiamente il migliore. Più che grasso lo direi denso, un vino di grandissima stoffa. Il Les Mailles Jeanne è invece il più persistente e anche il più pronto dei quattro, quello che berrei subito. Sa di tè nero salato”.
Yukari: “Sono tutti ancora molto giovani, sarebbe bello riassaggiarli fra qualche anno. Sono anche molto differenti tra loro. Anche per me il preferito è il Pluton, che nel tempo in cui è stato nel calice è cambiato moltissimo. E confesso che alla cieca avrei pensato a un Timorasso”.
Massimo: “Osservazione giustissima. Chenin e timorasso hanno in comune proprio queste leggere note di surmaturazione”.
Il bello delle degustazioni con tante teste è che si può essere d’accordo oppure non esserlo e va benissimo lo stesso.
Primo vino della seconda batteria è il Quart des Noëls 2021. Un altro piccolo appezzamento, esposto a sud, viti di oltre 90 anni su terreno scistoso con inserti di quarzo. Le viti sono frutto di una antica selezione massale, per cui ognuna rappresenta un unicum, un individuo che si è sviluppato autonomamente durante la sua lunga vita. Profuma di fiori e fieno, ma anche di agrumi. In bocca presenta una sapidità gessosa che friziona piacevolmente il palato e una freschezza in fase di assestamento. Il finale richiama le erbe officinali.
Gabriele: “Tra tutti è probabilmente il vino che ha maggiore bisogno di tempo”.
Mario: “Si avverte lo stacco dalla prima batteria. Fine, preciso, giocato su toni minerali di roccia e gesso. Lo direi saporito e ricco”.
Segue il Quarts de Gastines, la cui prima annata è proprio la 2021. Piante di circa 70 anni allevate ad alberello, non palizzate. La vigna si trova in parallelo a Varenne de Chanzé, sul versante meridionale della collina, e confina anche con il Clos de Mailles. Terreno di puro scisto grigio-verde con presenza di ftalite. Pierre ha rilevato differenze genetiche importanti tra queste vecchie viti di chenin e quelle più recenti. In particolare ha notato che i grappoli che nascono in questa vigna risultano meno compatti di quelli frutto di nuovi cloni e maturano meglio di questi ultimi.
Si avverte maggiore corpo rispetto al Quart des Noëls ma anche un maggiore equilibrio, in una trama complessiva che rende i due vini assimilabili nella forma, anche se questo mi pare di un livello superiore.
L’Albote Pulsar è un esperimento probabilmente irripetibile. È infatti il frutto della raccolta dei grapillons (in Anjou sono detti albotes), ovvero dei piccoli grappoli che non sono ancora maturati quando per la vigna giunge il momento della vendemmia. Noi li chiamiamo grappoli di San Martino e sono quelli che si raccolgono l’11 novembre, data che tradizionalmente segnava la fine dell’anno agrario. Nel 2021 ad Anjou si creò una situazione particolare per la quale questi grappolini furono particolarmente numerosi e raggiunsero un buon grado di maturazione. Vennero raccolti in quattro distinti vigneti di chenin: Varenne de Chanzé, Clos de Mailles. Quarts des Noëls e Quart des de Gastines.
Una breve macerazione carbonica ha influenzato l’espressione del vino. Non di grande carattere, presenta note di pasta di mandorle, frutta matura (qualcuno suggerisce: frutto della passione) e oliva bella di Cerignola (questa l’ha detta Eleonora, che si sappia. E si sappia anche che ha ragione). Fresco e sapido, vale soprattutto come esperimento enologico.
Massimo: “Mi sembra perfetto per l’abbinamento gastronomico, ad esempio con il sedano rapa”.
Eugenio: “Basta sedano rapa! Per me potrebbe anche non esistere”.
Ultimo vino il Goodwaters, l’unico 2020, da annata più equilibrata. Vino purtroppo introvabile, definito da Pierre “expérimentation éphémère” di una vigna dal potenziale “immense”, da viti di oltre 100 anni in uno dei più vecchi vigneti di chenin che si conoscano. Il vigneto è a Bonnezeaux, a circa quattro chilometri da Faye, ed è gestito dal fratello di Pierre. Con il Pluton, e diversamente dal Pluton, è per me il vino migliore della degustazione. Sicuramente già espressivo, grazie sia al millesimo, più equilibrato del 2021, sia all’anno in più trascorso in bottiglia.
Massimo: “Quanto cambia nel calice! E sembra quasi un vin clair, con uno spunto di cognac”.
Mario: “Già piacevole ma si avverte un enorme potenziale ancora inespresso”.
Gabriele: “Ménard mi dà sempre l’idea, e qui in particolare, di ricercare sempre una completa maturità. E la vigna vecchia dà certamente al frutto un’altra, più compiuta, dimensione”.
Dario: “I vini della seconda batteria sono quelli che più corrispondono al mio gusto”.
Mario: “Mi pare interessante sottolineare le grandi differenze dei vini tra loro, ma anche che sono chiaramente tutti frutto di una stessa mano, che li ha plasmati.”
Eleonora: “Questo è lavorare col tempo. Ménard ha fatto un lavoro a lungo termine. Se riesci a interpretare una annata con questa ricchezza di sfumature hai di sicuro una grande capacità di osservazione”.
Dario: “Pierre è vignaiolo ancora molto giovane ma dimostra di avere capito il suo territorio e come comunicarlo”.
Chi c’era:
– Dario Pepino, titolare della distribuzione L’Etiquette
– Gabriele Rosso, autore enogastronomico e collaboratore di L’Etiquette
– Massimo Raugi, direttore del ristorante Villa Crespi
– Elio Sandri, vignaiolo in Monforte d’Alba
– Yukari Sato, sommelier del ristorante Miyabi
– Eleonora Luppino, sommelier del ristorante La Limonaia
– Giada Talpo, consulente enogastronomica
– Paolo Fantini, titolare del ristorante Scannabue
– Stefano Cavallito, autore enogastronomico per La Repubblica
– Eugenio Signoroni, autore enogastronomico e curatore di Osterie d’Italia e Guida alle birre d’Italia
– Mario Bevione, sommelier
Questo articolo a firma di Nicola Barbato è comparso originariamente su Intravino, che ringraziamo per averci dato il permesso di pubblicarlo anche sul nostro sito.
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