
Le prime tracce della viticoltura nell’area risalgono all’epoca romana, come testimonia un decreto dell’imperatore Probus, e tale attività ricevette particolare impulso dal lavoro degli ordini monastici presenti nel territorio durante il Medioevo. Tuttavia la regione era nota per produrre uve di qualità non eccelsa (il melon de Bourgogne era assolutamente minoritario), spesso destinate alla distillazione e alla realizzazione di acquavite. La prima testimonianza scritta della presenza della varietà da cui oggi si ottiene il Muscadet risale al 1616. Tuttavia fu solo dal 1898, con la rinascita seguente alla devastazione della fillossera, che il melon de Bourgogne divenne la varietà maggiormente coltivata nell’area, togliendo spazio al vitigno folle blanche, da cui si ottiene invece il Gros-Plant. Nel corso del Novecento a lungo il comparto ha dovuto districarsi tra l’immagine del Muscadet come vino da poco, alimentata da commercianti senza scrupoli che hanno continuato a immettere sul mercato vini mediocri, e i tentativi di nobilitarne la statura attraverso l’istituzione delle AOC e l’adozione di nuove tecniche in grado di valorizzare al massimo l’espressività del vitigno. Tra queste, negli anni Ottanta sono stati introdotti affinamenti con soste più prolungate sui lieviti, e negli anni Novanta la macerazione pellicolare pre-fermentativa. Di recente stiamo dunque assistendo a un vero e proprio rilancio qualitativo del Muscadet, grazie a un manipolo di coraggiosi vignaioli che interpretano al meglio la tradizione: si è imposta come caratteristica della zona la vinificazione “sur lie”, con il vino che dopo la fermentazione, che avviene in vasche di cemento sotterranee, viene lasciato riposare sulle fecce fino al momento dell’imbottigliamento.